25 agosto 2009

guerra, non terra

Giovannino, che però tutti chiamavano Giovanni, era nato sull'appennino, quello medio, che ancora non è proprio montagna ma nemmeno collina, che è facile da coltivare. Giovannino era un contadino, o meglio, come dicevano le carte, coltivatore. Da generazioni e generazioni. Il bisnonno se lo ricordavano ancora tutti perché da un viaggio di là dall'adriatico, aveva riportato un ulivo speciale. Resistente alle gelate, piccole olive che però davano un olio saporito e profumato. Lui, Giovannino, fin da piccolo lo usavano per arrampicarsi sugli ulivi per raggiungere i frutti più difficili, perché l'olio viene più buono se non raccogli le olive da terra, e poi mica solo sugli ulivi era bravo a salire. Ciliegi, susini, peri, meli e peschi, tranne che sugli alberi di fichi, ché, come diceva sempre il nonno, “chell so' traditori”.
Spesso saliva su una grande quercia che cresceva sotto il colle in faccia al paese, un vecchio, grande albero che era lì da almeno trecento anni. Da lassù poteva guardare il mare e perdercisi dentro, a sognare un viaggio, una nave.

Il suo vicino di cuccetta lo svegliò vomitandogli addosso la sbobba avuta per cena, erano molti quelli che con un po' di mare si sentivano male, gli alloggi della truppa sottocoperta puzzavano di quell'odore che nessuno riusciva a togliere, nemmeno dopo cento saponate. Era un odore che entrava nel legno della nave e nei vestiti dei soldati che andavano a combattere in Africa per l'Italia, per il duce e per il Re. Pensare che non aveva mai voluto vestirla lui, la camicia nera. Con grande scorno del podestà e di buona parte dei compaesani abituati com'erano a non chiedersi mai se una cosa fosse giusta da farsi o meno. Ad ogni buon conto, lui era sempre stato un ottimo soldato, uno che la calma non la perdeva mai, nemmeno nei momenti peggiori e i suoi superiori lo sapevano, per questo avevano voluto che in Africa, in guerra, assieme a loro ci andasse anche lui.

Giovannino che però tutti chiamavano Giovanni, già più grande, lavorava nei campi. Il sole e la zappa lo avevano fatto scuro di pelle, asciutto e forte. Il maestro e il prete, colpiti dalla sua fame di sapere cose, lo avevano fatto invece ricco di libri che lui gli restituiva in forma di parole. Spesso le sere d'inverno le passavano a chiacchierare e discutere di quel che leggeva o della guerra, se si doveva fare oppure no.
Oppure no.
Come diceva sempre lui.
Tanti altri, invece l'avrebbero voluta, la guerra, quelli che il giornale chiamava “gli interventisti”.
Lui no, era come se avesse saputo, da sempre, che in certe cose era meglio non metterci mano.
Ci pensava spesso, sempre più spesso, anche quando era nei campi a dissodare il terreno per la semina, aggrappato com'era alla sua vanga.

Attorno era solo fumo, urla di feriti, esplosioni violentissime, alcune così vicine da toglierli l'aria e pure la voglia di continuare a respirare. Giovannino, che però tutti, anche in trincea, chiamavano Giovanni, continuava a scavare la sua buca, scavava veloce, scavava preciso. La sua consegna era quella di sminare le zone dove sarebbero passati gli altri, all'attacco delle postazioni austriache. Era il contrattacco dopo il Piave. Era la Storia, ma lui non lo sapeva. Sapeva solo che tanti come lui erano stati chiamati. Giovannino, che però tutti, anche nell'ufficio comunale, chiamavano Giovanni, era nato nel 1899. era un ragazzo del '99.

Così è che me la sono rappresentata nella testa la vita di Giovannino, che tutti, anche al Distretto Militare, chiamavano Giovanni. Quello che invece non riesco nemmeno a immaginare è il resto, paradossale, assurdo, eppure vero, di quelle verità che tante altre famiglie avranno toccato con mano senza riuscire a capacitarsi e a farsene una ragione.
Fatto sta che nel '43 i tedeschi arrivano al suo paese, rubano da mangiare, forse violentano qualche giovane contadina e, cosa decisiva per la vita di Giovannino danno alle fiamme tutti i documenti all'anagrafe del comune. No, i tedeschi no, nemmeno lo vedranno mai Giovannino che ancora è in Africa, in un campo di prigionia inglese, probabilmente. Tornerà al suo paese solo nel 1946. I tedeschi, loro no, non lo chiameranno mai Giovanni.
Al contrario della previdenza sociale che non gli riconoscerà le due guerre combattute, girando probabilmente i suoi soldi ad un omonimo, Giovanni, registrato correttamente all'anagrafe, di sicuro imboscato, uno di quelli che la camicia nera se l'era messa fin dal primo momento, amico adesso di qualche galoppino al distretto militare ex-camerata, riciclato anche lui, come troppi altri.
Con la scusa che i documenti i tedeschi li avevano bruciati, con la scusa che tutti lo avevano sempre chiamato Giovanni, con la scusa che il dopoguerra è sempre confusione.
Senza scuse.
Senza pensione, se non quella minima di coltivatore, cosa che dopotutto aveva davvero fatto in trincea sul Piave e tra le sabbie del nord Africa, zappando attento, scavando rapido e preciso, tirando fuori dalla terra cose non da mangiare ma da lasciare alle cure degli artificieri. Che però non è proprio la stessa cosa che cavare patate, lavorare al Comune, all'anagrafe o al distretto militare. E' una cosa parecchio più pericolosa che poi tiene in vita molti dei tuoi compagni, è una cosa oscura ma ugualmente eroica. E non è giusto che nessuno te la riconosca.
Anche se ti chiami Giovannino e tutti, testedicazzo, per il resto della vita continueranno a chiamarti Giovanni. 

16 agosto 2009

ferragostana (sabbia & coca 4)

La gente che balla dopo aver mangiato i cavatelli e bevuto tanto tanto vino mi ricorda lo spirito degli anni '80 .. l'hardcore, giovani punx che pogano sotto al palco. Anche se, va detto, un abruzzese che balla la spallata è alquanto più selvaggio.

Misantropia? Sensazione di inadeguatezza o semplice solitudine, non saprei. Inevitabilmente mi ritrovo sempre fuori dalla confusione. Come uno scemo, su una panchina distante dalla gente che balla e si diverte alle feste di paese, a scrivere di chissà cosa, poi ..

8 agosto 2009

sabbia & cocacola '09 (tre)

Coi gomiti poggiati alla ringhiera guardo lontano, verso le montagne. Davanti a me vedo solo il blu scuro del cielo che s'immerge nel verde della linea delle montagne, a destra e a sinistra invece è tutto perturbato dal girare lento di pale eoliche che nessuno ha ancora ben capito a cosa servano realmente. Certi pensieri hanno il potere di riportarmi con lo sguardo e l'attenzione più vicino, allora mi ritrovo a fissare una macchia d'olio proprio in mezzo alla carreggiata, lasciata da una vecchia auto o forse da un trattore di quelli che se gli capiti dietro smadonni finchè non li superi. La macchia d'olio sembra la faccia di un uomo.
Distinguo chiaramente l'ovale del viso e i capelli che lo incorniciano, la bocca semi aperta e gli occhi atteggiati in un'espressione come a dire:
“guarda quello lì sul balcone, ha la faccia che sembra una macchia d'olio sull'asfalto”.


Abbronzata, ha i capelli schiariti dal sole e dal mare raccolti in una crocchia. Gesticola mentre parla con le amiche, quando fuma pare che stia baciando il suo unico, grande amore. Spegne decisa la sigaretta a metà nel posacenere. Si accarezza il bordo inferiore della mandibola per rimuovere sabbia o salsedine. Poi gioca con le dita e non saprà mai di qualcuno che un giorno sulla spiaggia, all'ora dell'aperitivo, scriveva di lei.

on air/
hannah read : : a taste of  honey
will phalen : : wake up