9 settembre 2012

sabbia&coca-cola 2012, finisterrae


"La fine del mondo dipende solo da dove tutto è cominciato."


Seduto in riva al mare un vecchio guardava lontano. Una sciarpa attorno al collo e un milione di ricordi a stringere il cuore. Era come se le onde lenissero con ritmo regolare un dolore profondo. Il vecchio ci dondolava assieme, come cullato da mano tanto compassionevole quanto invisibile.
Rilassati pian piano i muscoli, la sua testa sembrò sgusciare fuori dalle spalle e gli occhi si posarono ancora un po' più lontano, oltre l'orizzonte. Le poche nuvole si dissolsero sotto il suo sguardo e tutto si confuse, scambiandosi di posto i colori del cielo e del mare. Un'onda più lunga delle altre lo riportò sulla spiaggia, col pensiero e con lo sguardo. Si alzò.
Camminò ancora, con uno scopo. Ancora.
Vagare alla ricerca della conchiglia perfetta, per sentirci il mare perfetto. Un sorriso perfetto si fece spazio tra le rughe. Una scintilla di sole riflessa negli occhi. 
A chi la vide sembrò proprio il lampo perfetto. Abbagliò il mare, se possibile. 
Di sette quello perfetto.


Il settimo mare fu rivelatore, di fronte al mio ombrellone giocavano altri bambini occupati a costruire castelli di sabbia. Io pensavo a quanto presto sarebbero caduti, già apprezzavo le macerie. Quel che resta di un crollo.
Frammenti, evidentemente, ma i più resistenti. I miei castelli sarebbero rimasti in piedi: poca sabbia e il ricordo della catastrofe in ogni atomo.

Il sesto mare è stato il più azzurro anche se il mondo era ormai a ferro e fuoco. La fattoria dei miei genitori era andata alla banca dopo il fallimento. Abbandonata, gli animali venduti a qualche macellaio, i campi incolti, la vigna distrutta. Rimaneva il grande albero di fronte il patio. Da lì sopra riuscivo a vederlo il mare.
Mi avvicinai, non so se con l'intenzione di arrampicarmici ancora una volta. Si accorsero di me le tante gazze che ormai lo abitavano, fuggirono con gran fracasso.
Il presente è così veloce che è meno fatica accostare il passato, ma lì non ci trovi granché di buono per il futuro.

Il quinto mare imparai a nuotare, uscito dall'acqua mi sdraiavo al sole e chiudevo gli occhi. La brezza mi portava l'odore di viaggi, mi bastava stare lì e ascoltare le voci lontane. Parole confuse, slegate, ricomposte solo dal profumo delle onde.

Il quarto mare, quello di mezzo, scosse l'anima mia. Rammento Amina, nera nera, del Senegal. Intrecciava i capelli con perline colorate alle bambine, sulla spiaggia. La guardavo mentre ogni tanto poggiava una mano sulle reni, per darsi un po' di sollievo. Guadagnava bene, Amina, e forse la parrucchiera del paese se ne lamentò con qualche balordo del posto. La tirarono su dall'acqua i pescatori che albeggiava appena.

Del terzo mare ricordo solo il sale. L'aurora era un urlo ai miei occhi. Passavo il mio tempo alla ricerca di qualcosa che facesse passare più velocemente il tempo che restava alla sera. Certe volte il tempo della ricerca è già trovare quel che serve anche se per guardare meglio si deve rivolgere le spalle al sole.

Il secondo mare me lo dissero profondo ma ero in là con gli anni e il mio tempo era un'ombra che si nascondeva tra mille altre.
Comunque mi tuffai.
Il primo respiro tornato in superficie fu buio e sgomento. E stupore.
Per quel mare ero solo l'ennesima anima persa in tanta grandezza, così nuotai veloce e con la testa fuori dall'acqua, così da poter respirare la luce. 
Strisciai sulla battigia, poi andai carponi.
Infine mi rialzai.

Il primo mare sto seduto sulla riva. E guardarlo.



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